Robba
 



Paesitudine



Il y a plus de 40 ans, en plein Riacquistu s’imposait doucement le concept de “corsitude” pour exprimer le sentiment d’appartenance à la Corse, sur le modèle de la “négritude” d’Aimé Césaire. Aujourd’hui, c’est depuis la Sardaigne que Corrado Seddaiu nous propose de réfléchir à la pertinence d’une “Paesitudine” pour signifier l’attachement qui nous lie à nos villages de l’intérieur, désertifiés et oubliés de la modernité mais porteurs de valeurs et de promesses d’avenir. À noi, squadra Robba, ci piace sta Paesitudine, sentimu chì face parte di noi, è chì ci tocca à sprime la, per fà campà i nostri paesi.



Bernard Cantié, In paese
Bernard Cantié, In paese

Dopu cent’ anni l’acqua torna a so rigu.1

Così recita una massima corsa..anche se dopo cent’anni quell’acqua non può più essere la stessa, ritorna ai suoi luoghi arricchita di esperienze.

Allo stesso modo il ritornare e il riabitare i paesi non può più essere lo stesso del passato.

L’obbiettivo di questo articolo vuole essere quello di aprire un dibattito sui modi di riabitare i luoghi, spesso in via di spopolamento, come sono diventati i nostri paesi afflitti da una desertificazione che ne ha marginalizzato i ruoli e dove le istituzioni si ritirano ma, come racconta Tonì Casalonga, si creano vuoti che possono dare spazio ad altre persone o alle stesse con nuove idee e modi di vivere.

1 A. Mattei, Pruverbj, detti e massime corse, Arnaldo Forni Editore, ristampa anastatica, 1867.
 


Aux avant-poste du bien-vivre ?

In Italia, il Piano nazionale ripresa e resilienza (PNRR) prova a dare timide risposte, ma sono associazioni come Riabitare l’Italia (associazione composta da sociologi, antropologi, geologi, architetti, biologi ed economisti) che provano ad invertire gli sguardi, a rimescolare le carte, tentando di riformulare dal basso, dalle periferie, dai margini, ad ipotizzare e realizzare un nuovo scenario. Personalità come il paesologo Franco Arminio e lo scienziato Luca Mercalli evidenziano nei loro scritti come questi luoghi “dimenticati” dovranno diventare gli avamposti di una nuova società conviviale, sostenibile, vicina al pensiero di Ivan Ilich ma anche al “Buen vivir” di Serge Latouche.

Per capire il valore reale dei paesi e delle piccole città è necessario venirci, parlare con le persone, rendersi conto dei problemi che si hanno qui. Dal momento che il modello di sviluppo è cambiato in Europa, da quando è diventata terra di servizi e non solo di lavori pesanti, si può stimolare il ritorno e la restanza. Uno dei principali contributi al dibattito italiano lo offre Il centro in periferia, rubrica della rivista Dialoghi Mediterranei creata dall’antropologo Pietro Clemente. Quello di C.I.P è un tentativo di dare visibilità ai processi di resistenza contro la marginalità e la disuguaglianza territoriale, per trovare, creare e supportare buone pratiche, processi innovativi ma anche riflessioni teoriche sullo stato delle cose.

In Italia i comuni sono 7901, di questi 5534 sono sotto i 5000 abitanti. Sono i più numerosi e anche quelli che dispongono di minori investimenti. Riequilibrare il territorio di persone che non hanno più l’ufficio postale, il medico, il negozio o un bar dovrebbe essere un obbiettivo primario, ma spesso trattare di questo mette in evidenza un provincialismo che pensa che parlare di piccoli paesi significhi rimanere indietro rispetto alla modernità.

La modernità sta invece proprio nella riqualificazione e nella tutela di quei patrimoni che saranno fondamentali per contrastare i cambiamenti climatici già in corso e le ricadute, come le migrazioni, che ne conseguiranno. I paesi non sono solo rifugio ma possono diventare luogo strategico per una civiltà nuova. Un laboratorio di creazione, un centro nella periferia dove restare, andare e ritornare. Luoghi disintossicanti per la mente, capaci di conciliare la creatività con la salute delle persone. Per migliorare le relazioni umane non si può non partire dai paesi, dai cortili, dagli orti, dalla strada che congiunge una microprossimità ad un'altra tessendo una tela in grado di riattivare quella molla arrugginita che si proietta nel futuro.

I processi come le radici sono lenti, in divenire.


Paesitudine, Paesitude

La paesitudine è un sentimento, si inserisce come una prospettiva positiva, un modo di concepire il riabitare, di sentire, di ricordare, dove è finito il ciclo dell’abbandono e i tempi diventano maturi per un’agricoltura e una pastorizia adeguati al tempo presente.

La paesitudine è una sinfonia di storie di uomini e di donne, di cibo, di valli, di fiumi, di montagne. È un mare di memoria e oblìo che solo chi ha vissuto in un paese o lo ha attraversato anche per poco ha sentito nei suoi sottofondi silenziosi, nei suoi profumi.

Venendo spesso in Corsica per vacanza o per lavoro per l’associazione Realtà virtuose, andiamo in giro per i paesi per vedere il loro stato di salute. Talvolta è il paese che ci vede e che dice qualcosa di noi riuscendo sempre a raccontare una storia, la sua e la nostra che a volte s’intrecciano.

I paesi di Corsica sono vuoti e pieni, silenziosi o accompagnati da un chiama e rispondi che arriva dai tavoli di un piccolo bar. In alcuni senti il rumore delle fronde dei castagni scosse dal vento, in altri trovi un festival o la casa della musica. In alcuni chiacchieri con la gente delle luci della penisola italiana che arrivano fin li, in altri il rumore delle foglie calpestate è l’unico rumore assordante.

Scriveva Cesare Pavese  in Paesi tuoi : “i paesi miei non sono solo i luoghi di nascita, ma anche quelli in cui hai vissuto, sei passato, in cui hai curato lo sguardo o hai deciso di ritornare a fare visita.” Ecco i paesi di Corsica sono un po’ anche i nostri.

La paesitudine in Corsica è il profumo dei caminetti accesi, di castagne, è quel caffè che le nonne bevevano con le vicine che sono sempre meno ma che domani potranno bere con altri che sceglieranno di camminare insieme lungo lo stesso sentiero.


Faire partie d’une communauté et d’un lieu

Significa abitare e sentirsi parte di una comunità attiva e rassicurante che riparte dall’essenziale, dalle relazioni che ci legano al passato e al futuro, è il legame che intreccia la nostra esperienza di vita con i luoghi in cui abitiamo. Paesitudine è osare pensare di poter fare qualcosa che non è mai stato fatto prima unendo saperi antichi e progetti innovativi per migliorare i luoghi.

La paesitudine è quindi una possibile risposta alle disuguaglianze date dal sistema economico mondiale. I modelli urbani si misurano con le proprie crescenti difficoltà ma al di fuori la vita peggiora con la ritirata delle istituzioni. Il tentativo o l’opportunità di riabitare i luoghi divenuti marginali riflettono l’esigenza di percorrere una via conviviale tutt’altro che semplice. Il riabitare i luoghi può ripartire dai saperi antichi a patto di proiettarli nel nuovo contesto temporaneo che tiene conto delle nuove sensibilità. Nell’articolo su Robba del 30 dicembre dell’anno appena trascorso “La survie n’est pas le bien-etre”, Sampiero Sanguinetti suggerisce una domanda:”L’absence de développement serait en quelque sorte une chance?”.:”Je ne crois pas que notre souci premier soit celui du simple bien-être. A moins que nous assimilions le bien-être à la conjugaison de la combativité, de la résilience et d’une dose confortable d’optimisme et de confiance en soi.” Sampiero ci offre una riflessione che ci aiuta ad allontanare lo sguardo da falsi e inutili romanticismi o peggio da invenzioni della tradizione di natura consumistica.

La paesitudine emerge allora da uno scrigno incredibile di luoghi diversi che offrono una varietà di risorse plurali, immense polifonie possibili, energie dimenticate che potrebbero divenire nuove forme di produzione sociali e culturali che troppo spesso sono stati visti come limiti alla modernità. Oggi o domani una revisione del pensiero può favorire la costruzione di uno scenario dove tradizione del territorio e innovazione tecnologica percorrano un sentiero comune adatto a produrre nuove forme di democrazia comunitaria, di coscienza di luogo.

Clemente usa l’espressione accendere i fuochi, come riferimento all’immagine che evoca la condivisione di destini futuri. Riaccendere i fuochi come espressione riferita a quei paesi che hanno perso abitanti, la usa nel senso di ricostruire famiglie, focolari, nel senso di ri-abitare. Luoghi fuori dal mondo del consumo e spesso più vicini a spazi di resistenza, dove è possibile che come durante le guerre, e in futuro a causa della crisi climatica, ci si possa rifugiare.

Luoghi abbandonati e ritrovati “possibili atolli dopo lo tsunami”.

“E’ falso. Sapevamo muoverci nel mondo, per quello che era, lo facevamo bene ma chi dimentica il proprio passato si ritrova intruso nel racconto di altri”1
 

1 Cit. Ferretti in F. Arminio- G. L. Ferretti, L’Italia profonda. Dialoghi dagli Apennini, Gog, Pamphlet, 2019, p. 26.

 


Vendredi 2 Février 2024
Corrado Seddaiu


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