A partir du livre de Maurice Fréchuret, Images de l'exil
Il termine "spaesamento", nella sua primitiva oggettività etimologica, fa riferimento all’abbandono forzato o volontario del proprio paese. Ma, al di là di questo gesto fisico dell’abbandono, è diventato più genericamente sinonimo di estraniazione da un contesto fisico, intellettuale o morale che un individuo non riesce a condividere e ad accettare. Ecco dunque che lo spaesato storico, quello che, obtorto collo o meno, ha dovuto adattarsi a nuove realtà e compiere quindi l’operazione inversa di appaesamento, spesso si è ritrovato nuovamente spaesato in ciò che, forse, per qualche tempo ha pensato che potesse essere il suo nuovo porto sicuro e che invece si è rivelato nel tempo un mare sempre più in tempesta.
Raramente si è emigrati o si emigra per romanticismo, lo si fa soprattutto per necessità. È l’insostenibilità di una situazione che in genere fa emigrare, sia dal punto di vista materiale - povertà e disagio sociale - sia politico-esistenziale - persecuzione e mancanza di libertà. E se l’approdo in altri paesi non sempre è quello sperato, anche quando avviene l’integrazione permane, almeno nelle prime generazioni, uno stato di malinconia, di spaesamento, che nessuna nuova realtà positiva riesce a cancellare. E questo è avvenuto sia nelle grandi emigrazioni europee verso il “nuovo mondo” o, all’interno dell’Europa stessa, verso i paesi di maggior sviluppo industriale sia nelle altrettanto grandi migrazioni dai paesi dei cosiddetti terzo e quarto mondo verso il mondo occidentale opulento nelle sue varianti europea e nordamericana.
Raramente si è emigrati o si emigra per romanticismo, lo si fa soprattutto per necessità. È l’insostenibilità di una situazione che in genere fa emigrare, sia dal punto di vista materiale - povertà e disagio sociale - sia politico-esistenziale - persecuzione e mancanza di libertà. E se l’approdo in altri paesi non sempre è quello sperato, anche quando avviene l’integrazione permane, almeno nelle prime generazioni, uno stato di malinconia, di spaesamento, che nessuna nuova realtà positiva riesce a cancellare. E questo è avvenuto sia nelle grandi emigrazioni europee verso il “nuovo mondo” o, all’interno dell’Europa stessa, verso i paesi di maggior sviluppo industriale sia nelle altrettanto grandi migrazioni dai paesi dei cosiddetti terzo e quarto mondo verso il mondo occidentale opulento nelle sue varianti europea e nordamericana.
De la fragilité des dépaysés
Allora come ora l’emigrante è stato visto razzisticamente come un subumano, un inferiore, e man mano che è riuscito a integrarsi è spesso diventato a sua volta razzista, con una sorta di meccanismo perverso che induce a far espiare ad altri ciò che si è subito. Ma se prima, dopo periodi indecorosi di apartheid, ce l’ha fatta in qualche modo ad acquisire la stessa dignità degli altri, oggi che la coperta della civiltà dei consumi si è sempre più ristretta viene respinto con muri, recinzioni e filo spinato, in nome di identità che sono in verità un melting pot di svariata natura. Perché oggi l’identità non è più legata, nelle sue diverse accezioni, al sangue o alla condivisione di una storia, ma è l’espressione di una appartenenza al mondo del consumo, difeso come il giardino del privilegio, ma ormai più subito che scelto.
L’uomo infatti è prigioniero di una trappola che si è costruito, entro la quale ha distrutto ambiente e convivenza pur affermando di volerli migliorare; ma non solo: ha perso, addirittura, anche la sua capacità di autogovernarsi, diventata sempre più un riflesso condizionato dell’idea malata di consumo che lo pervade, spacciata come progresso nonostante lo stia precipitando nel baratro. È in questa sempre più profonda disperazione si aggrappa ad alcuni fantasmi del passato, quelli che già l’hanno segnato drammaticamente nel tempo, e in particolare a quello di un nemico che lo minaccia, che cambia di volta in volta a seconda di ciò che decide chi comanda. Che sa bene che l’uomo spaesato è fragile, e dunque facilmente manipolabile, fino al punto di giustificare anche la guerra, che pure è sempre stata nei secoli la sua maledizione.
L’uomo infatti è prigioniero di una trappola che si è costruito, entro la quale ha distrutto ambiente e convivenza pur affermando di volerli migliorare; ma non solo: ha perso, addirittura, anche la sua capacità di autogovernarsi, diventata sempre più un riflesso condizionato dell’idea malata di consumo che lo pervade, spacciata come progresso nonostante lo stia precipitando nel baratro. È in questa sempre più profonda disperazione si aggrappa ad alcuni fantasmi del passato, quelli che già l’hanno segnato drammaticamente nel tempo, e in particolare a quello di un nemico che lo minaccia, che cambia di volta in volta a seconda di ciò che decide chi comanda. Che sa bene che l’uomo spaesato è fragile, e dunque facilmente manipolabile, fino al punto di giustificare anche la guerra, che pure è sempre stata nei secoli la sua maledizione.
Se défaire du dépaysement mortifère
Ma com’è possibile sottrarsi a questo inganno dello spaesamento indotto? Noi siamo convinti che soltanto se l’uomo, nei vari territori, sarà in grado di ridare vita a processi di appaesamento secondo certi criteri e principi tradizionali riuscirà ad uscire da questa spirale di dissoluzione e a trovare ancora il modo di stare insieme comunitariamente e non nel modo costrittivo e alienato proprio della civiltà del consumo.
E quando parliamo di criteri e principi tradizionali non ci riferiamo a quelli su cui si basano certe ideologie che fanno del localismo, che tra l’altro non c’è più, e dell’esclusività etnica i cavalli di battaglia di una ripresa del passato, ma a quelli che mirano a riconoscere nel passato quella che è una possibile Memoria attiva utile se non necessaria per progettare qualsiasi futuro. Futuro che deve poggiare, affinché diventi elettivo, su due pilastri del percorso dell’interazione umana nella Storia, la solidarietà e la democrazia. Solo essi possono rendere legittima una nuova idea di appartenenza, basata su un appaesamento inclusivo di chiunque si riconosca e pratichi questi principi nel suo vissuto quotidiano.
A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che questa è mera utopia, che non è possibile trasformare una società sulla base di principi etici o forme di governo, ma che occorre lasciarlo fare all’economia. È essa che crea benessere - quello che loro chiamano benessere - interazione e democrazia. È essa che stimola gli uomini a progredire, a lavorare e ad arricchirsi. È essa, diciamo noi, che disgrega la comunità, bandisce la solidarietà e, a seconda dei momenti, mette in crisi e talvolta distrugge la democrazia.
E quando parliamo di criteri e principi tradizionali non ci riferiamo a quelli su cui si basano certe ideologie che fanno del localismo, che tra l’altro non c’è più, e dell’esclusività etnica i cavalli di battaglia di una ripresa del passato, ma a quelli che mirano a riconoscere nel passato quella che è una possibile Memoria attiva utile se non necessaria per progettare qualsiasi futuro. Futuro che deve poggiare, affinché diventi elettivo, su due pilastri del percorso dell’interazione umana nella Storia, la solidarietà e la democrazia. Solo essi possono rendere legittima una nuova idea di appartenenza, basata su un appaesamento inclusivo di chiunque si riconosca e pratichi questi principi nel suo vissuto quotidiano.
A questo punto qualcuno potrebbe obiettare che questa è mera utopia, che non è possibile trasformare una società sulla base di principi etici o forme di governo, ma che occorre lasciarlo fare all’economia. È essa che crea benessere - quello che loro chiamano benessere - interazione e democrazia. È essa che stimola gli uomini a progredire, a lavorare e ad arricchirsi. È essa, diciamo noi, che disgrega la comunità, bandisce la solidarietà e, a seconda dei momenti, mette in crisi e talvolta distrugge la democrazia.
Retrouver la bonne échelle de société
È ovvio, tutto ciò che proponiamo non riguarda l’economia di grande scala che, anzi, calpesta quella di piccola scala. E neppure i grandi agglomerati urbani, con le loro periferie sempre più degradate e i centri degli affari e residenziali sempre più fortini per pochi privilegiati. Noi crediamo che se c’è una possibilità di uscire dallo spaesamento del presente essa è costituita soltanto dalla riscoperta e dal recupero economico e sociale dei luoghi marginali dei nostri territori, gli unici dove ancora si può pensare di riattivare una democrazia asfittica, in balia della politica di professione e della pressione economica, e modelli di insediamento e relazionali che prescindano dai valori dell’arricchimento speculativo e del consumo. Luoghi di equilibrio sociale ed economico in cui la partecipazione al benessere collettivo diventa inseparabile dalla propria avventura personale. E quindi di condivisione e di crescita umana, affinché nessuno si ritrovi mai da solo.
Sarebbe l’inizio di una nuova civiltà che, al contrario di quelle precedenti, non cercherebbe di fagocitare le altre per dominarle e sfruttarle, ma praticherebbe la cultura dell’interscambio, fornendosi reciprocamente inferenze culturali, sociali ed economiche ed esaltando la diversità. E forse spezzerebbe la cappa dell’omologazione permanente che oggi ci opprime sotto un “ombrello” di principi che favoriscono i padroni del mondo. Una civiltà in cui l’individuo verrebbe esaltato per quanto sarebbe in grado di interagire con gli altri e non per il delirio solipsistico che caratterizza oggi i potenti del mondo. Un tentativo estremo e coraggioso di umanesimo che, se dovesse mai fallire, rischierebbe di mettere la parola fine alla nostra presenza sulla Terra.
Sarebbe l’inizio di una nuova civiltà che, al contrario di quelle precedenti, non cercherebbe di fagocitare le altre per dominarle e sfruttarle, ma praticherebbe la cultura dell’interscambio, fornendosi reciprocamente inferenze culturali, sociali ed economiche ed esaltando la diversità. E forse spezzerebbe la cappa dell’omologazione permanente che oggi ci opprime sotto un “ombrello” di principi che favoriscono i padroni del mondo. Una civiltà in cui l’individuo verrebbe esaltato per quanto sarebbe in grado di interagire con gli altri e non per il delirio solipsistico che caratterizza oggi i potenti del mondo. Un tentativo estremo e coraggioso di umanesimo che, se dovesse mai fallire, rischierebbe di mettere la parola fine alla nostra presenza sulla Terra.
